Trama
L'amore è un argomento inesauribile; tutti i secoli ne hanno parlato in versi e in prosa, ma al nostro spetta il merito di averlo considerato nella sua parte fisiologica e patologica. Di qui l'abbondanza dei manuali di fisiologia, d'igiene, di psicopatie sessuali.
Ne mancava però ancora uno su quella che pur è la malattia più comune e, forse appunto per questo, la più trascurata: il così detto mal d'amore.
Premettiamo subito che questo male può essere soltanto oggettivo se l'oggetto che lo ispira è cattivo o riprovevole, soggettivo se chi ama lo fa in modo illecito e disordinato, infine, misto se, come capita il più delle volte, si uniscono l'una e l'altra cosa.
In tutti i casi, non vi è dubbio che un tal male, sebbene sia uno di quelli che tutti ebbero, hanno o avranno, è uno dei più penosi e dannosi di cui si vorrebbe guarire. Ma come fare?
Lo insegna praticamente questo libro. Esso si divide in tre parti nella prima delle quali si considera il male in se stesso ossia nella sua origine, nei suoi sintomi, nel suo sviluppo, nelle sue manifestazioni, ecc. Nella seconda si dipingono a forti tinte, perché meglio rimangano impresse, i suoi molteplici danni fisici e morali, individuali e sociali. Nella terza, infine, si espongono i rimedi preventivi e repressivi più efficaci.
Tutto ciò viene volgarizzato in questo libro con scienza ed esperienza, con argomenti ed esempi e anche con un linguaggio adatto ai lettori cui specialmente si rivolge.
A costoro — come ben direbbe anche un altro moralista — non si può certo presentare un mazzetto di fiorellini mistici, che al loro olfatto guasto non avrebbe odore; ne un manuale di pietà stillante di rugiada e unzione, che ai loro palati disgusterebbe come una tazza d'acqua tiepida. Sono avvezzi, purtroppo, ad altre vivande e bevande. Per riportarli al pane, bisogna adoperare un po' di quel pepe buono che vince lo zenzero; per indurli all'acqua pura, è necessario far sentire che vi sono ebbrezze superiori a quelle dell'acquavite. E siccome anche non sanno intendere che il proprio linguaggio, così bisogna sapervisi adattare, come spero di esservi riuscito.
D'altra parte, nell'argomento di cui si tratta, il linguaggio più realista e schietto finisce coll'essere anche il più castigato. Si noti al proposito che gli scrittori pornografici non adoperano mai le parole più crude, perché sanno benissimo che non otterrebbero lo scopo afrodisiaco che si promettono. Usano invece giri di parole, velature, allusioni, metafore, perché sanno, per istinto, che la penombra in cui sono lasciate le realtà, riesce a suggerire immagini erotiche ancora più sicuramente che le parole nude e crude, quali appunto ho preferite.
Io ritengo modestamente di non essermi in questo mio nuovo libro di terapia sessuale, neppure lontanamente avvicinato a tali grandi maestri; ma spero tuttavia che esso non riuscirà meno gradito ed efficace a quelli per cui fu scritto.