Trama
“Gli scritti del Meister Eckhart e gli scritti del Buddha non sono che due dialetti della stessa lingua”, così ebbe ad esprimersi Erich Fromm a proposito dell’opera generale, e di questa in particolare, di Eckhart. E che dire di quanto sostenuto dal maestro zen D.T. Suzuki, il quale, nutritosi dello zen giapponese, ha dedicato molto sforzo e molto tempo al dialogo tra la concezione della mistica orientale e quella occidentale e che ritrova innegabili connessioni tra le nozioni satori (nello zen), samadhi (nel buddismo), illuminazione (nel cristianesimo) e distacco (da Meister Eckhart). In ogni caso, anche se il contenuto e la forma dei vari insegnamenti spirituali sono o no tra loro diversi, c’è un punto su cui l’insegnamento dello zen e quello di Meister Eckhart senza alcun dubbio coincidono, quello che sostiene essere indispensabile una autentica esperienza personale.
Il fine di tutto il suo predicare era quello di riportare l’esperienza umana alla necessità dell’unificazione con il principio divino. Nella Grecia antica si imprimeva questa necessità alla gente per mezzo della massima “Gnosi se auton” e nel oriente “Atmanam atmana pasya”, ciò in ambedue i casi significa “Conosci te stesso”. Così si esprime anche Eckhart: “Chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, giacché nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso”. È a partire da questo che Meister Eckhart, con la sua predicazione, vuole riportare l’uomo a comprendere quell’armonia che lo aiuterà a superare ciò che corrompe la sua unità con Dio.