Trama
Carlotta, con i suoi tipici calzettoni e gonnella scozzese, con i suoi capelli “imprigionati in treccine infiocchettate di bianco o di rosa oppure tagliati corti da nervose sforbiciate” della nonna, con le sue “ginocchia ossute, spesso adorne di brutte crostacce” o con ferite sottoposte ad infettarsi, la quale, uscita dai terrori della guerra, trova subito un nuovo motivo di turbamento nella paura dell’interrogazione del professor Giulini “elegante, severo, ma giusto”: un insegnante d’altri tempi segnati dalle diete forzate per la misera razione personale prevista “dai tagliandi delle tessere annonarie che ignoravano vitamine, grassi, sali minerali e tante altre cosucce” e “infelicitati” dalla quotidiana “penitenza” delle nauseanti cucchiaiate d’olio di fegato di merluzzo, ritenuto “miracoloso”. E, su questo frizzante “incipit”, ecco innestarsi tutta una serie di accadimenti, situazioni, ricordi, passioni che hanno il potere di farci rivivere, dall’ intus un’epoca che sembra lontana anni luce, vissuta da una generazione che ha patito la guerra e che l’ha scavalcata rafforzata dentro e desiderosa di vivere una nuova esistenza di riscatto, capace di far dimenticare gli orrori che ogni conflitto reca inevitabilmente con sé. Bruna Nizzola sulla scansione di vicende lontane, avvalendosi anche di mezzi moderni quali la posta elettronica, poco concedendo all’alone mitizzante della memoria, in sordina, senza che ce ne accorgiamo, riesce a veicolare le sue convinzioni etiche ed esistenziali dettate dal buon senso di chi, giunto ad un’età in cui possibile e doveroso stilare un bilancio critico di un’epoca, nutre ancora la fervida speranza che certe situazioni non si verifichino mai più e cerca di portare la propria pietruzza all’edificazione di un’epoca più giusta e serena, se non proprio felice.